Il gabbiano di A. Cechov

Questo spettacolo è stato realizzato con cinelab, a seguito di un approccio basato sul metodo Strassberg-Meisner di lavoro sui personaggi.

presso Teatranzartedrama 

REGIA di Luca Busnengo
Aiuto Regia : Fabio Padovan, Cecilia Bozzolini

“…quello che conta
è la capacità di sopportazione”
Nina

I  grandi temi che stanno alla base di questo testo così fortunato sono estremamente importanti: il conflitto generazionale nella doppia dimensione genitori/figli e artisti affermati/giovani artisti debuttanti; i ragionamenti sull’arte e in particolare sulla scrittura e sul teatro; l’amore, tonnellate di amore in tutte le sue forme e varianti possibili, vissuto, negato, nascosto; lo scontro tra forme artistiche diverse come realismo e simbolismo; il teatro nel teatro; il suicidio. Ma non è sufficiente l’elencazione degli argomenti per capire in modo approfondito il fascino del Gabbiano.

C’è qualcosa di più, di magico, di malato, nel modo in cui Cechov racconta questa storia e dipinge con straordinaria precisione i personaggi che la vivono, c’è il suo stile, ci sono le sue atmosfere, c’è la capacità di ridere attraverso il pianto e piangere attraverso il riso, come nella vita, che fa di questo autore il più grande interprete moderno dei linguaggi del teatro e, allo stesso tempo, uno dei più acuti conoscitori dell’essere umano, delle sue debolezze ma anche delle sue potenzialità affettive e positivamente etiche.

La scena è pallida, assente, in bianco e nero. Gli attori inscatolati in una casa cubo delimitata da una quarta parete di tulle che allontana e avvicina allo stesso tempo lo spettatore che si trova a spiare il dolore che racchiude quella casa “maledetta” all’interno della quale non trova spazio la speranza e i sogni e le aspirazioni si infrangono inerti sulle rive del lago incantatore e i personaggi si muovono come sospesi, come fantasmi, anch’essi grigi, anch’essi in bianco e nero.